SCULTURA 2019-02-25T10:11:52+00:00

Project Description

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Enzo Parillo inizia a fare scultura all’età di ventinove anni, nel 1989. È l’anno della morte del padre. In quel tragico momento viene spinto ad addentrarsi in un nuovo mezzo espressivo, dal bisogno cruento di racchiudere e includere nella pietra il dolore rovinoso per il gigantesco e improvviso lutto. Al vuoto che gli si crea attorno, cerca di contrapporre la pienezza e la durezza della materia che utilizza per le sue opere. Preleva, per i suoi primi tentativi, la pietra tufacea direttamente dal dirupato muro di cinta della casa paterna. Nelle sue composizioni si richiama ai volti delle teste lineari e oblunghe di Amedeo Modigliani. Viene influenzato dalle rappresentazioni dei Moai dell’Isola di Pasqua, dalle facce del Guerriero di Capestrano, del Guerriero di Hirschlanden e del Guerriero di Glauberg. Lo influenzano ancora le Matres Matutae, in parte conservate nel Museo Campano di Capua. Guarda alle maschere tribali africane, alla loro essenzialità e sobrietà, alle linee scarne e nude di quelle rudimentali sculture umane. Si ispira alle fattezze corporee delle statue steatopigie o callipigie della preistoria, come la statuetta della Venere di Willendorf, realizzata dall’uomo già 25.000 anni prima della nascita di Cristo, o, ancora, guarda ai tratti scultorei appena accennati della Venere di Tan-Tan, datata in un intervallo di tempo che va dal 500.000 a.C. al 300.000 a.C. e che potrebbe essere contemporanea alla Venere di Berekhat Ram e quindi tra le prime rappresentazioni della figura umana. Opere iniziali sono il “Cristo Redentore”, un piccolo “Autoritratto” e, ancora, il “Pulcinella”. Nonostante l’appagamento emotivo che gliene deriva, però, abbandona presto la scultura e si concentra unicamente sulla pittura che è mezzo espressivo più immediato, rapido e istintivo e che con più aderenza combacia con la sua spiccata irruenza creativa. Alla fine del 2017, dopo una latenza di quasi trent’anni, tuttavia, riprende a scolpire, ancora nella pietra tufacea e sempre teste rudimentali, con volti dai lineamenti appena abbozzati e tracciati ruvidamente nel materiale che lavora. In questo secondo periodo è fortemente attratto dal desiderio di sottrarre ai pieni della materia in eccesso, i vuoti essenziali e scarni delle sculture definitive, così come alla pienezza e alla gioia immensa di questo momento della vita, pure sente la necessità di sottrarre i vuoti di un dolore di fondo, la cupezza e la tristezza di un pessimismo cosmico assoluto, costituzionale, genetico. Il “Condottiero romano” e lo “Sciamano” sono i due lavori di questo nuovo periodo.